Purgatorio – quinto canto

Mentre Virgilio e Dante si allontanano dalle anime dei pigri, una di queste si accorge dell’ombra proiettata dal poeta vivo; grida la sua scoperta alle altre anime che, osservando incuriosite Dante, lo rallentano; ma Virgilio lo rimprovera:

Perché l’animo tuo tanto s’impiglia, 
disse ‘l maestro, che l’andare allenti? 
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 
sta come torre ferma, che non crolla 
già mai la cima per soffiar di venti;  

Far crescere un pensiero sopra l’altro serve solo ad allontanare la meta, non bisogna lasciarsi distrarre, conclude Virgilio; Dante non può far altro che rispondere Io vengo, ricoperto del colore che fa l’uom di perdon talvolta degno.

Si avvicina un gruppo di penitenti che intonano il miserere: anche loro, quando si accorgono dell’ombra di Dante, esprimono la loro sorpresa: mutar lor canto in un oh! lungo e roco; e mandano due di loro a chiedere: Di vostra condizion fatene saggi.

Virgilio conferma ai due ambasciatori, con tono piuttosto asciutto, che Dante è vivo, e non appena la voce arriva al gruppo delle anime queste si avvicinano veloci come le stelle cadenti:

Vapori accesi non vid’io sì tosto 
di prima notte mai fender sereno, 
né, sol calando, nuvole d’agosto

che color non tornasser suso in meno; 
e, giunti là, con li altri a noi dier volta 
come schiera che scorre senza freno.

La questione del movimento qui si fa complessa: questi defunti appaiono fin troppo dinamici, forse per loro non è vero che la fretta l’onestade ad ogn’atto dismaga (III, 11). Ma neanche Virgilio si vuole fermare, infatti invita Dante ad accogliere le loro preghiere,

però pur va, e in andando ascolta

Le anime ovviamente vorrebbero essere riconosciute e ricordate sulla terra:

venian gridando, un poco il passo queta.

Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, 
sì che di lui di là novella porti: 
deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? 

Siamo davanti a personaggi uccisi e pentitisi tardi, anzi, in punto di morte il pentimento e il perdono, seppur tardivi, li fanno uscire dalla vita terrena pacificati con la divinità che ora desiderano incontrare:

Noi fummo tutti già per forza morti, 
e peccatori infino a l’ultima ora; 
quivi lume del ciel ne fece accorti,

sì che, pentendo e perdonando, fora 
di vita uscimmo a Dio pacificati, 
che del disio di sé veder n’accora.

Dante non riconosce i suoi interlocutori, ma promette di fare quanto le anime vorranno chiedergli; la richiesta è semplice: ti priego, dice il primo spirito,

che tu mi sie di tuoi prieghi cortese 
in Fano, sì che ben per me s’adori 
pur ch’i’ possa purgar le gravi offese

Pur essendo di Fano, questo (apparentemente) anonimo personaggio viene ucciso a Padova (in grembo a li Antinori):

quel da Esti il fé far, che m’avea in ira 
assai più là che dritto non volea

ovvero, il mandante della sua uccisione è Azzo d’Este, con una vendetta sproporzionata rispetto all’offesa; e l’ultimo rimpianto del defunto (mancano i violenti toni infernali evidentemente in questo luogo di espiazione) è non essere fuggito nella giusta direzione:

Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco 
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io 
de le mie vene farsi in terra laco

Il secondo personaggio invece si presenta col suo nome:

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 
Giovanna o altri non ha di me cura; 
per ch’io vo tra costor con bassa fronte

Questo personaggio e la sua storia sono molto note: muore durante la battaglia di Campaldino, senza lasciare tracce. Il personaggio Dante vorrebbe conoscere il modo e il motivo della sparizione del cadavere:

E io a lui: Qual forza o qual ventura 
ti traviò sì fuor di Campaldino, 
che non si seppe mai tua sepultura? 

Buonconte narra di essere arrivato vicino al torrente Archiano, con la gola ferita e sanguinante, riuscendo a invocare il nome di Maria in punto di morte; all’angelo che porta verso il cielo la sua anima si oppone però il diavolo:

l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno 
gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’etterno 
per una lagrimetta che ‘l mi toglie; 
ma io farò de l’altro altro governo!

Il diavolo è destinato a perdere la sfida per quanto riguarda l’anima di Buonconte, ma per vendetta o per dispetto decide di prendersela con il corpo, che fa disperdere in acqua provocando una violenta pioggia, e il conseguente ingrossamento delle acque.

Lo corpo mio gelato in su la foce 
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse 
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce

ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse; 
voltòmmi per le ripe e per lo fondo, 
poi di sua preda mi coperse e cinse

Il canto potrebbe chiudersi qui, e invece compare fulminea Pia de’ Tolomei, che chiede di essere ricordata tra i vivi: anche nell’incertezza storico-archivistica della sua vicenda la donna raggiunge il suo obiettivo, e bastano pochi versi per ricordarla molto a lungo:

Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 
e riposato de la lunga via, 
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

ricorditi di me, che son la Pia: 
Siena mi fé, disfecemi Maremma: 
salsi colui che ‘nnanellata pria 

disposando m’avea con la sua gemma

 

 

 

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